Monday, August 30, 2010

19 agosto 2010 KORR...

MANYATTAS..

..e quello che ieri ho sentito ed ho raccontato, oggi ho visto. Samburu e Rendile che vivono in piccole manyattas sparse per questo immenso semi-deserto. Tribù di 40-50 famiglie, disposte in cerchio, circondate da rovi per difendersi dalle iene,vivono in capanninne fatte con rami di legno, grandi e piccoli uniti assieme da fango,erba,pezzi di stoffa o di pelle di animale.




Partiti alle 9,30 di mattino con la land rover scassata, percorso km e km nella savana per visitare 5 tribù per vaccinare i bambini e dare pastiglie alle donne incinta. Per avvisare del nostro arrivo, Alex (l’autista) inizia da lontano a suonare una specie di sirena...dopo esserci piazzati sotto un albero, ecco che arrivano mamme con i neonati, nonne e tanti, tanti, tanti bambini quasi tutti sporchi di fango, chi nudo, chi con addosso uno straccetto come mutandina..e le donne in fila con la “cartella medica” dei propri bambini, per fare le vaccinazioni. Le situazioni lasciavano senza parole....davanti a queste ragazze mie coetanee, con già uno o due bambini; non hanno acqua, quindi tantomeno lavano i vestiti..ne hanno uno..o non ne hanno.

Perchè le donne samburu indossano solo un panno che fa da gonna e un panno per tenere il bambino sulla schiena. Niente maglia. E chi ce l’ha, ce l’ha mezza abbassata per poter offrire la mammella al bimbo che è pronto a ciucciare. Al collo tantissime collane, simbolo delle proposte di matrimonio, sulla testa una “corona” di perline, bracciali colorati, orecchini collegati al copricapo. Mamme giovani, giovanissime, che quando si avvicinavano ci esploravamo a vicenda: a 17 già con bimbi, alcune a 15..vite così diverse, in posti così diversi, con culture diverse...a contatto per qualche ora. Incapaci di capirci perchè lei, mamma samburu o rendile, parla solo il suo dialetto orale. Niente inglese. Di kiswahili solo “habariaco”..”muzuri sana”. Stop. E stop comunicazione. L’unica comunicazione che proseguiva era quella degli sguardi e dei gesti: io che toccavo i bracciali in ferro e gli orecchini, loro che contavano i buchi alle orecchie e mi toccavano i capelli..con ciascuna mamma uno sguardo. E un saluto al bambino dietro sulla sua schiena. E dopo che avevano preso un pò di confidenza, qualche foto. Non prima. Non volevano essere disturbate da quello strano oggetto sconosciuto. Ed io non volevo ropere il loro spazio. Così guardavo. E pensavo a quanto quel luogo fosse fuori al mondo..altro che villaggio. Cos’è una bici? La canna da zucchero? Il riso? La doccia? L’elettricità? Un letto? Si..per terra.


E pensavo a quello che mi raccontava Fr.Seba per spiegarmi come vivevano, guardando delle cartoline con fotografati dei Samburu. E pensavo alle situazioni descritte, alle popolazioni nomadi di cui si sente parlare..ecco, di cui si SENTE parlare. Io le avevo davanti..quelle donne samburu, quelle capannine che bisogna abbassarsi per entrare. Un posto senza acqua, con un container (ora semi-vuoto perchè è stagione secca) a km di distanza, senza vegetali, frutta e pesce neppure a parlarne..era la realtà. Lì davanti a me. Senza conoscere “igiene” o “prevenzione”. A guardarle in fila mentreaspettano il loro turno di mostrare la cartellina clinica perchè poi possa essere fatta la vaccinazione al bambino. Mamme 30enni che sembrano avere 50 anni. Mamme, nonne e nonni, bambini...gli uomini? Dove sono?!


..scopro dopo che i ragazzi da quando hanno 15-18 anni (dalla circoncisione) diventano guerrieri per 15 anni. E in questo arco di tempo non si sposano, non mangiano il cibo cucinato dalle donne e nemmeno dalle loro mamme. Non possono. Non sono più bambini, sono ormai indipendenti e devono cavarsela. È così che dice la tradizione...e questi warriors -moranes nel loro dialetto-, impenetrabili, nei loro costumi, con le loro armi, con la loro fierezza, stanno tra di loro, cacciano e viaggiano insieme. Lontano dalla tribù e dalla famiglia. E quando ritornano viene scelta per loro una moglie, si sposano e diventano padri, curano gli animali in zone vicino a casa, lasciando ai guerrieri il compito di stare in giro per giorni.






E tra questi mille pensieri, mille immagini, mille mani, una scena ed una situazione da lasciare senza parole. Solo con le lacrime agli occhi ed una stretta al cuore.. ferma davanti alla “macchina dell’ambulanza”, osservando Sister Alfonsa vaccinare i bambini, sento tirare insistentemente la maglia: una bambina che non parla kiswahili nè tantomeno inglese preme perchè mi diriga verso le manyattas; dubbiosa e titubante la ascolto e raggiungo Mama Suzanne che è china davanti ad una manyatta, e sono investita da un’immagine stravolgente: seduta per terra, magrissima, con la pelle raggrinzita ed i capelli bianchi, una nonna aveva un enorme cancro che le cresceva tra la guancia ed il mento, vicino alla bocca e pieno di pus; lei tentava di nasconderlo mettendo la mano davanti e mandando via i bambini. Ad ogni suo movimento quell’enorme massa maligna sembrava dover esplodere. Le lacrime e la repulsione mi hanno tenuto un pò in disparte. Tre volte per andare a chiamare Sister Alfonsa o Alex perchè venissero a vedere se si potesse fare qualcosa: niente... Niente?! Lasciare questa nonna morire soffrendo? Non portarla al dispensary nè all’ospedale? Troppo lunga la strada, all’ospedale non farebbero nulla e sarebbe sotto la nostra responsabilità. ..e la lasciamo così? Con la figlia che supplica di fare qualcosa?! Decidono che è meglio continuare il giro delle manyattas e ritornare dopo, cercando nel mentre una soluzione. ...dov’è lo spirito cristiano?


Dopo aver visitato 4 “villaggi” e aver rivissuto le stesse scene –mamme giovanissime con bimbi in spalla che guardano stupite e incuriosite, bimbetti nudi e sporchi di fango, nonni con nipotini, caprette- ci fermiamo sotto un albero in mezzo al deserto a pranzare (una piccola vaschetta con una porzioncina di riso). Con un caldo torrido e la sciarpa sulla testa, decidiamo che avremmo proposto al figlio-guerriero di venire con noi al dispensario per prendere il necessario per curarla. ..il figlio guerriero. Che rivediamo appena torniamo alla manyatta. Con copricapi, piuma, coltello, bastone, coperta come gonna ed impenetrabile. Acceta la proposta tradotta da Alex e sale sulla nstra land rover con altri due moranes. E subito lo colgo. Quello sguardo che appena incrocia il tuo penetra quasi a leggerti l’anima..sì,era questa la sensazione! Ogni volta che lo sguardo s’incrociava era la stessa sensazione: occhi neri che cercavano in pochi secondi di cogliere l’essenza dell’altro. Impenetrabile, guerriero indipendente ormai dalla famiglia, che non mangia cibo cucinato da donne, che non dovrebbe andare con nessuna ragazza..e appena 20enne. Accetta di fare la foto –con una mzungu si può fare un’eccezione- . presi i medicamenti sono ripartiti per percorrere sei ore nella landa desolata.ma almeno la nonna starà meglio, almeno per qualche ora.

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