Tuesday, August 31, 2010

21 agosto 2010 KORR...

Ieri visitato Martha al mattino e Mama Antonio al pomeriggio (dopo la siesta obbligata dopo pranzo dall’1pm alle 4pm per il troppo caldo)..tempo di chiacchiere, stare coi bambini, fare foto, vedere i loro voti di scuola e le loro scelte future; apprezzare il trasferimento delle due mamme dalle manyattas ad una casa in cemento e gioire per la loro felicità.



LENGIMA MASS..


Stamattina h.7am pronti per andare a celebrare messa nel villaggio di Lengima con Fr.John e Suzanne. A turno i bambini suonavano la “campana” per avvisare dell’inizio della messa: campana era lo scheletro di una ruota di land rover arrugginito.

Partecipata da 70 bimbetti la cui età media era di 8 anni. I più grandicelli hanno iniziato ad intonare i canti e a suonare i tamburelli; oltre ai bambini assistevano alla messa due uomini ed un gruppetto di mamme.

L’entusiasmo con il quale cantavano e suonavano lasciava che i gridolini si trasformassero in canto. Ed esplodeva la gioia. Ai ragazzini più grandi si univano i bimbettini che battevano le mani sperando di seguire il ritmo, invano. A causa poi della presenza di due mzungus, Fr.John ha avuto un gran da fare per farli restare attenti; gli occhioni erano puntati su di noi, per osservare qualunque cosa dicevamo, facevamo o come muovevamo le dita..a volte era quasi imbarazzante sentirsi cento occhietti addosso! Fuori da messa, altri 3 samburu (non guerrieri) hanno chiesto un passaggio; in una macchina c’erano nazionalità Kenyane, Italiana, Belga..


Per raggiungere Lengima, come per spostarsi verso ogni altra parte, è sempre un’impresa: strade di sabbia che hanno buche fatte dalla pioggia, sassi grandi, piccoli, alberi con spine che se hai il finestrino abbassato, oltre a respirare sabbia, rischi anche di graffiarti. Strade lunghe, infinite e sempre dritte. Percorrere per ore strade senza incrociare macchine, imbattendosi soltanto in struzzi, cammelli, antilopi, volpi o lepri. E se dovesse bucarsi la ruota, cosa succederebbe? Per ore attendere che passi qualcuno.. alone in the desert. È difficile pensarlo quando si è abituati a vedere strade asfaltate e trafficate, incroci, semafori, piste ciclabili. Poi realizzi che ci sono anche lunghe strade senza semafori nè marciapiedi, ma solo con terra di fianco; ti imbatti successivamente in strade non asfaltate ma percorribili senza distruggersi la testa o il sedere, in mezzo alla rossa terra. E pensi che non ci possano essere strade peggiori: è solo terra...e invece no. Settimana scorsa finisco su strade “asfaltate” distrutte da buche che si interrompono per diventare strade senza indicazioni, ad una “corsia”(se così si può chiamare un sentiero percorso da sole jeep..le macchine non arriverebbero nemmeno all’ingresso della savana), con sabbia e in mezzo al deserto, dove i soli cespugli hanno le spine. Non è mai la fine...c’è sempre qualcosa che viene dopo. C’è sempre qualcosa che è peggio. C’è sempre qualcosa che è più in mezzo al vuoto.


GURNITH..
Appena ritornati a casa Fr.John ci avvisa che un’ora dopo saremmo ripartiti per andare a prendere i ragazzi delle varie manyattas per l’inizio della Don Bosco Youth Feast. Un’altra avventura. Dopo aver mangiato due piatti di spaghetti (preparati solo per me) partiamo con il lorry: un grande camion aperto che avrebbe trasportato i ragazzi fino alla missione. In tre partiamo verso Gurnith; circa un’ora e mezza di viaggio, arrivando a destinazione nel piazzale della chiesetta: è il segnale che tutti i senior (ragazzi/e dai 15 anni in su) devono prepararsi per la partenza. Caricate borse, sacchetti e zaini, iniziano a salire i ragazzi, arrampicandosi sul ferro che fa da “soffitto”:
sembra che siamo pronti per partire quando iniziano ad arrivare donne samburu con pesanti ceppi di legna e lunghe canne di bambù per costruire le loro manyattas in un altro luogo (..nomadi)..ed era incredibile come una dietro l’altra arrivavano, caricavano, salivano per avere un passaggio fino al luogo destinato alla costruzione del nuovo villaggio.

E durante il viaggio di ritorno mi mettevo a pensare che era proprio una situazione bizzarra: mi ritrovavo in un lorry, su strade di sabbia e con buche, attraversando letti di fiumi vuoti senza ponti e con 150 ragazzi seduti in cima al camion che cantavano a due cori canzoni in kiswahili, mettendoci il ritmo come solo loro certe volte sanno fare.. attraversando la savana con il sole che tramonta: immersi completamente nella natura, incontrando qua e là qualche raro pastore con capre o cammelli, incrociando moranes che con la loro “armatura” camminavano da soli o a gruppetti verso chissà quale meta e che stupiti alzavano la mano in segno di saluto rispondendo ad un camion pieno di ragazzi..e posso capire il loro smarrimento: di solito non si vedono passare macchinee il primo veicolo che vedono magari in quel giorno non è una semplice macchina,bensì un camion..pieno di giovani che cantano!


E dopo una collina ci si para davanti il sole: una palla gialla circondata da un cielo rosa, semicoperto da un albero...questa Africa! Questo istante, che aspettavo da 20 giorni, tanto divulgato da foto, depliants che sponsorizzano l’Africa e la sua wild nature..io ce l'avevo davanti! E come se non bastasse, subito un’altra immagine: gruppetti di manyattas con il sole che tramonta alle spalle, donne che entrano nelle capanne e bambini che giocano con le capre, circondati da una luce rosea..immagini affascinanti.


E la sera, dall’alto delle scale, contemplare la spianata di fronte a noi: in compagnia solo della luce della luna piena sembrava che fossi piccola piccola e contemporaneamente che avessi il mondo in mano. Un senso di serenità, pace, libertà mi hanno pervaso. Sono sicura che mi mancherà Korr, anche tornando a Karen. Quello che è più stupefacente ed a volte incomprensibile è come un posto dove non c’è acqua, non c’è vegetazione, non ci sono macchine che passano, non ci sono bici, fa caldo, la gente vive con il minimo (e a volte neanche quello)...eppure l’enormità della natura ti assale e si mostra in tutta la sua bellezza e superiorità. E sei a contatto con lei. Direttamente a contatto con Dio. E mi viene da pensare a che meraviglia sia la creazione, a che miracolo ho avuto la fortuna di vedere.


..e qui in Kenya, vivendo con la gente e parlando con loro, capisco meglio e apprezzo la calma, la voglia di camminare sotto la pioggia (..sempre se piove..) senza ombrello, a piedi nudi sul prato, la nostalgia d’Africa. Certo, perchè è qui che il tempo è triplicato, è qui che si è a contatto con la natura, è qui che hai la possibilità di parlarci..non in quella gabbia d’Europa. Non in mezzo a tutto quel cemento. Non in mezzo al traffico. Non in mezzo alla confusione. La natura, il vento, il silenzio...this is Africa.

Monday, August 30, 2010

19 agosto 2010 KORR...

MANYATTAS..

..e quello che ieri ho sentito ed ho raccontato, oggi ho visto. Samburu e Rendile che vivono in piccole manyattas sparse per questo immenso semi-deserto. Tribù di 40-50 famiglie, disposte in cerchio, circondate da rovi per difendersi dalle iene,vivono in capanninne fatte con rami di legno, grandi e piccoli uniti assieme da fango,erba,pezzi di stoffa o di pelle di animale.




Partiti alle 9,30 di mattino con la land rover scassata, percorso km e km nella savana per visitare 5 tribù per vaccinare i bambini e dare pastiglie alle donne incinta. Per avvisare del nostro arrivo, Alex (l’autista) inizia da lontano a suonare una specie di sirena...dopo esserci piazzati sotto un albero, ecco che arrivano mamme con i neonati, nonne e tanti, tanti, tanti bambini quasi tutti sporchi di fango, chi nudo, chi con addosso uno straccetto come mutandina..e le donne in fila con la “cartella medica” dei propri bambini, per fare le vaccinazioni. Le situazioni lasciavano senza parole....davanti a queste ragazze mie coetanee, con già uno o due bambini; non hanno acqua, quindi tantomeno lavano i vestiti..ne hanno uno..o non ne hanno.

Perchè le donne samburu indossano solo un panno che fa da gonna e un panno per tenere il bambino sulla schiena. Niente maglia. E chi ce l’ha, ce l’ha mezza abbassata per poter offrire la mammella al bimbo che è pronto a ciucciare. Al collo tantissime collane, simbolo delle proposte di matrimonio, sulla testa una “corona” di perline, bracciali colorati, orecchini collegati al copricapo. Mamme giovani, giovanissime, che quando si avvicinavano ci esploravamo a vicenda: a 17 già con bimbi, alcune a 15..vite così diverse, in posti così diversi, con culture diverse...a contatto per qualche ora. Incapaci di capirci perchè lei, mamma samburu o rendile, parla solo il suo dialetto orale. Niente inglese. Di kiswahili solo “habariaco”..”muzuri sana”. Stop. E stop comunicazione. L’unica comunicazione che proseguiva era quella degli sguardi e dei gesti: io che toccavo i bracciali in ferro e gli orecchini, loro che contavano i buchi alle orecchie e mi toccavano i capelli..con ciascuna mamma uno sguardo. E un saluto al bambino dietro sulla sua schiena. E dopo che avevano preso un pò di confidenza, qualche foto. Non prima. Non volevano essere disturbate da quello strano oggetto sconosciuto. Ed io non volevo ropere il loro spazio. Così guardavo. E pensavo a quanto quel luogo fosse fuori al mondo..altro che villaggio. Cos’è una bici? La canna da zucchero? Il riso? La doccia? L’elettricità? Un letto? Si..per terra.


E pensavo a quello che mi raccontava Fr.Seba per spiegarmi come vivevano, guardando delle cartoline con fotografati dei Samburu. E pensavo alle situazioni descritte, alle popolazioni nomadi di cui si sente parlare..ecco, di cui si SENTE parlare. Io le avevo davanti..quelle donne samburu, quelle capannine che bisogna abbassarsi per entrare. Un posto senza acqua, con un container (ora semi-vuoto perchè è stagione secca) a km di distanza, senza vegetali, frutta e pesce neppure a parlarne..era la realtà. Lì davanti a me. Senza conoscere “igiene” o “prevenzione”. A guardarle in fila mentreaspettano il loro turno di mostrare la cartellina clinica perchè poi possa essere fatta la vaccinazione al bambino. Mamme 30enni che sembrano avere 50 anni. Mamme, nonne e nonni, bambini...gli uomini? Dove sono?!


..scopro dopo che i ragazzi da quando hanno 15-18 anni (dalla circoncisione) diventano guerrieri per 15 anni. E in questo arco di tempo non si sposano, non mangiano il cibo cucinato dalle donne e nemmeno dalle loro mamme. Non possono. Non sono più bambini, sono ormai indipendenti e devono cavarsela. È così che dice la tradizione...e questi warriors -moranes nel loro dialetto-, impenetrabili, nei loro costumi, con le loro armi, con la loro fierezza, stanno tra di loro, cacciano e viaggiano insieme. Lontano dalla tribù e dalla famiglia. E quando ritornano viene scelta per loro una moglie, si sposano e diventano padri, curano gli animali in zone vicino a casa, lasciando ai guerrieri il compito di stare in giro per giorni.






E tra questi mille pensieri, mille immagini, mille mani, una scena ed una situazione da lasciare senza parole. Solo con le lacrime agli occhi ed una stretta al cuore.. ferma davanti alla “macchina dell’ambulanza”, osservando Sister Alfonsa vaccinare i bambini, sento tirare insistentemente la maglia: una bambina che non parla kiswahili nè tantomeno inglese preme perchè mi diriga verso le manyattas; dubbiosa e titubante la ascolto e raggiungo Mama Suzanne che è china davanti ad una manyatta, e sono investita da un’immagine stravolgente: seduta per terra, magrissima, con la pelle raggrinzita ed i capelli bianchi, una nonna aveva un enorme cancro che le cresceva tra la guancia ed il mento, vicino alla bocca e pieno di pus; lei tentava di nasconderlo mettendo la mano davanti e mandando via i bambini. Ad ogni suo movimento quell’enorme massa maligna sembrava dover esplodere. Le lacrime e la repulsione mi hanno tenuto un pò in disparte. Tre volte per andare a chiamare Sister Alfonsa o Alex perchè venissero a vedere se si potesse fare qualcosa: niente... Niente?! Lasciare questa nonna morire soffrendo? Non portarla al dispensary nè all’ospedale? Troppo lunga la strada, all’ospedale non farebbero nulla e sarebbe sotto la nostra responsabilità. ..e la lasciamo così? Con la figlia che supplica di fare qualcosa?! Decidono che è meglio continuare il giro delle manyattas e ritornare dopo, cercando nel mentre una soluzione. ...dov’è lo spirito cristiano?


Dopo aver visitato 4 “villaggi” e aver rivissuto le stesse scene –mamme giovanissime con bimbi in spalla che guardano stupite e incuriosite, bimbetti nudi e sporchi di fango, nonni con nipotini, caprette- ci fermiamo sotto un albero in mezzo al deserto a pranzare (una piccola vaschetta con una porzioncina di riso). Con un caldo torrido e la sciarpa sulla testa, decidiamo che avremmo proposto al figlio-guerriero di venire con noi al dispensario per prendere il necessario per curarla. ..il figlio guerriero. Che rivediamo appena torniamo alla manyatta. Con copricapi, piuma, coltello, bastone, coperta come gonna ed impenetrabile. Acceta la proposta tradotta da Alex e sale sulla nstra land rover con altri due moranes. E subito lo colgo. Quello sguardo che appena incrocia il tuo penetra quasi a leggerti l’anima..sì,era questa la sensazione! Ogni volta che lo sguardo s’incrociava era la stessa sensazione: occhi neri che cercavano in pochi secondi di cogliere l’essenza dell’altro. Impenetrabile, guerriero indipendente ormai dalla famiglia, che non mangia cibo cucinato da donne, che non dovrebbe andare con nessuna ragazza..e appena 20enne. Accetta di fare la foto –con una mzungu si può fare un’eccezione- . presi i medicamenti sono ripartiti per percorrere sei ore nella landa desolata.ma almeno la nonna starà meglio, almeno per qualche ora.

18 agosto 2010 KORR..

E ripartire ieri mattina. Destinazione: Korr. Partite alle 9,30am e accompagnate da Fr.Sebastian a Karen, io e Suzanne (la signora belga con della quale sono in compagnia) abbiamo preso il matatu fino a Nairobi, da lì cambiato e attraversato Nyeri, Nanyuki diretti a Isiolo.
Arrivate dopo 4 ore,appena scese dal matatu la confusione. Donne con il velo, alcune anche con il burqua; uomini con il cappellino, bancarelle ovunque, persone dappertutto; camminiamo tra la confusione, con gli occhi puntati addosso: a volte mi dimentico che qui è una rarità vedere dei mzungus, tra l’altro donne e da sole. Immersa in questi pensieri, osservando il via vai di gente, cercando di mimetizzarmi il più possibile, avvolgendomi con la sciarpa per difendermi dagli sguardi a volte troppo invadenti e dal vento che aveva iniziato a soffiare forte, improvvisamente vedo comparire davanti a noi, pian piano, una moschea.
Vista solo in televisione, la vedo per la prima volta in Kenya: grande e imponente, bianca e oro. E mentre la costeggiamo,ci passano davanti donne con velo e bambini, uomini che si dirigono a pregare (è periodo di Ramaddam). Sempre più frastornata, con la borsa che pesava sulle spalle, avrei voluto che arrivassero velocemente le 7, ma c’era da aspettare ancora due ore.. quando la provvidenza manda due uomini (un musulmano ed un missionario laico) che ci hanno scortato prendendosi cura di noi, ci hanno portato a mangiare, ci hanno accompagnato a pagare i biglietti per il bus (una specie di ricevuta) e ci hanno fatto compagnia per 2 ore..poi come sono arrivati, così sono scomparsi: improvvisamente.
Per arrivare a Isiolo sono stati attraversati una varietà di paesaggi: Nairobi centro, Nairobi zona industrie, Nairobi periferia, campi, villaggi rigogliosi con campi di banane, pomodori,ecc.. fino ad arrivare tra pochissimi alberi e tra i campi mandrie di mucche guidati da pastori.



Partiti finalmente alle 8pm, con un “pullman” pieno di famiglie, sacchi di mais, valigie, carico dentro e sopra, arriviamo a Laisamis all’una di notte, dopo altre 5 ore di viaggio. Tragitto su strada sterrata, avendo fatto una seduta di massaggi mentre dormivo, causa sassi di tutti i tipi e buche sul percorso. Ad aspettarci ci sono Fr.John, l’autista, un accompagnatore e quattro Masaai. Dopo un’altra ora e mezza di tragitto su una strada questa volta in terra e piena di buche, arriviamo.


Vegetazione è solo qualche albero sparso qua e là e terriccio bianco. Non più terra rossa e rigogliosa di qualche ora prima. Non più campi, non più persone..nulla. se avevo pensato che Muthiti fosse un villaggio isolato..beh, non avevo ancora visto questo. Caldo, fortunatamente mitigato dal vento, e nulla.


Al mattino visita degli unici edifici in cemento della missione. A mezzogiorno “zoom” da parte di Fr.Paul Antimi (sacerdote in Korr assieme a F.John Mwongi) sulla situazione di chi vive in queste zone. Se negli slum le donne usano l’acqua sporca, qui acqua non c’è. E quel poco che è condivisa da uomini e animali. Non c’è igiene (forse non sanno nemmeno che esistenza questo termine..).. non coltivano..non saprebbero come fare. Come pranzo del giorno a volte c’è solo una tazza di thè kenyano al mattino.
Vivono per gli animali (cammelli, capre, pecore) e vivono con loro. Non stanno fermi in un posto per più di un anno..sono nomadi. Non si curano e non sanno nemmeno di essere ammalati di colera, malaria o qualche altra malattia. È stato costruito un dispensary dove le suore fanno vaccinazioni, prelievi e prevenzione per done incinta, bambini e anziani. Ma a volte è come se le suore parlassero al vento. Non c’è sporco..perchè non c’è niente. Vivono in una capannina di 2 metri quadri, dove per entrare bisogna abbassarsi. Non hanno pentole, non bolliscono il latte né l’acqua; l’unico lavoro è curare gli animali stando in giro per più giorni. Vivono perchè devono vivere. E non si sa come facciano a sopravvivere. Per giorni camminano con cammelli, dormono con loro, bevono la stesa acqua..quando c’è.

Friday, August 27, 2010

16 agosto 2010

Giovedì 12 al Jiraffe Park con Fr.Sebastian..non esperienza travolgente perchè tutto montato per i turisti, ma divertente vedere delle giraffe dal vivo!


Stamattina di ritorno da 3 giorni in un villaggio...mi sembra così strano aver vissuto un’esperienza del genere!


MUTITHI VILLAGE... partita con Charity e Vivian venerdì verso le 11; arrivati a Karen con il taxi, preso il City Hoppa (pullman) fino a Nairobi centro, luogo confusionario, incasinato: gente che va, che torna, che fuma, che aspetta il bus, il taxi o un amico; ragazzi che con un carrello aspettano che qualcuno li chiami per aiutare a trasportare valigia, scatole pesanti o le mille borse che si portano dietro le persone. Mentre Charity è entrata in un supermercato per prendere “qualcosa” da portare a casa (“qualcosa” erano due borse pesantissime insieme ad uno scatolone..tutto questo trasportato mentre andavamo alla ricerca di un matatu, insieme ai nostri bagagli), sono rimasta fuori ad aspettare con Vivian. Era strano come la gente lanciava sguardi a quella strana coppia: una bambina nera in braccio ad una bianca che nell’attesa canticchiavano “Jambo Kenya”.. arrivata la mamma abbiamo preso il matatu, direzione Embu: il lungo viaggio ha avuto inizio... sballottati per un’ora e mezza prima nel traffico cittadino che l’autista cercava di evitare in tutti i modi: supera a destra, a sinistra, scendendo dalla strada e proseguendo sulla terra battuta, risalendo, cercando di superare più maccine possibili, finalmente “entriamo”in autostrada (non ci sono caselli o pedaggi, per fortuna!) dove per tutto il tragitto siamo stati accompagnati da dossi presi con la rincorsa, buche a più di 100 km/h sul “matatu rottame” che infatti ha bucato. Era una scena molto buffa: in mezzo ad alberi, terra rossa e cactus, 15 persone attendevano sul ciglio della strada che l’autista e il suo aiutante (ovvero colui che riscuote i pagamenti: perchè non ci sono da comprare biglietti per viaggiare sul matatu, ma solo da pagare scellini). Dopo un’attesa di minimo un quarto d’ora, frastornati dal pessimo viaggio, riprendiamo la nostra strada...per “completare l’opera” la bambina vomita addosso a Charity, quindi passiamo parte del secondo pezzo di strada a tentare di pulire il più possibile..situazione poco piacevole.


Finalmente arriviamo alla cittadella di Mwea. Scendendo dal matatu ci accolgono tre bimbetti, una ragazzina di 15 anni e una mamma con un bimbetto sulla schiena (scopro poi che la ragazza è la cugina di Charity e quella mamma è sua sorella) che ci aiutano a portare le 5 borse che abbiamo portato con noi. Attraversando due stradine in terra rossa (il mio istinto mi aveva permesso di prevedere che sarebbe stato meglio partire con le infradito...ed è stata la cosa migliore) giungiamo alla loro casetta.


Lo stato d’animo in quel momento e durante la sera era di disorientamento più totale...mi sembrava di essere arrivata in un posto se non fuori dal mondo, quasi. La casetta con la cucina in una costruzione a parte, il bagno fuori anche lui, in giro a piedi nudi, dentro e fuori casa.. tranquillità era l’aggettivo più adatto, insieme ad alienazione. Le persone stavano sedute su panchine, osservavano altri che lavoravano, ridevano, parlavano, portavano sacchi, guidavano carrettini, trasportavano canne di bambù... e dopo aver appoggiato la borsetta, mangiato, dopo che mi sono presentata come se avessi dimenticato tutto l’inglese (sentendo parlare Kikuyo –il dialetto del posto, diverso dal Kiswuahili- mischiavo tutto e non capivo quando mi parlavano in inglese e quando parlavano tra di loro in dialetto, sembrava un tutt’uno incomprensibile), sono stata portata a fare un giretto nella piccola town...quel pomeriggio (come per i due giorni successivi) sono stata l’eccezione più assoluta, la novità, l’abbaglio, la prima mzungu -bianca- ad andare in quel villaggio. Le persone stavano ad osservarmi senza credere ai loro occhi, oppure pensando di aver preso un abbaglio vedendo una bianca che cammina tra i banchetti di frutta e verdura, che attraversa i fossati, che ha i piedi marroni per aver camminato sulla terra.. bambini che si fermano a guardare con due occhioni senza “credere ai loro occhi”. Non aspettando altro che ricevere una stretta di mano da questo strano extraterrestre bianco.. ragazzi (probabilmente che si sono divertiti a passare il tempo fumando) che ripetono: “mzungu, how are you?”, “welcome, karibu mzungu”...mzungu. è forse la parola che ho sentito più spesso, consapevole che si riferivano a me. Consapevole di essere l’eccezione.


E quel pomeriggio, passando tra le bancarelle, tra sguardi stupiti, sconcertati, felici, interrogativi, in compagnia dell’unico desiderio di poter diventare ad un tratto trasparente per poter non essere notata...


La sera passata a cenare a lume di candela in compagnia di Charity, di Mama Charity, Iline e i vari nipotini, ricevendo la visita del fratello di Charity (padre di tre bambini) che aveva bevuto forse un pò troppo..e sono stata male, vomitando quella che avrebbe dovuto essere la mia cena, a causa degli effetti post-viaggio su matatu. Condividendo il letto con Charity, la mia sensazione è stata quella di non riuscire a capire quale fosse il mio stato d’animo in quel momento, e l’unica risposta a questo mio interrogativo è stata quella di attendere e ambientarmi.


Il mattino di sabato infatti è stato decisamente migliore. Sveglia alle 6 di mattino, mi sono messa a lavare fuori in cortile le grandi pentole e i piatti usati la sera prima, con appena una spugnetta consumata e un pezzettino di sapone di marsiglia. Dopo aver aiutato a stendere il bucato “pulito” (che di pulito aveva poco..)e preso una tazza di thè kenyano con latte, insieme ai bimbi sono andata a salutare la mamma di Penina, nonchè sorella di Mama Charity, ed una positivissima sensazione di pace e tranquillità mi ha invaso: era semplice ma tutto ordinatissimo, sentierino spazzato senza nessuna foglia, pianticelle delimitavano la stradina, una casetta per la cucina e di fronte una saletta con stanze. Tutto rispecchiava chi la abitava: Mama Penina è bella, orgogliosa e fiera di sè (ma non troppo..quanto basta per essere amabili) anche quando piegata a portare sulla schiena la tanica d’acqua o quando tiene in braccio il nipotino. Bravissima a nascondere le sue preoccupazioni, celate dall’indelebile sorriso. Semplicemente fiera anche quando piegata in cucina. E le figlie sono il suo ritratto. Bellissime, tranquille e sorridenti.


Pacatamente mi mostrano i campi dietro il recinto di casa: campi di pomodori davanti e distese di campi di riso. E tra un campo ed un altro, tra un rettangolo di verde brillante quali sono le pianticelle di riso e uno di terra marrone, tante persone (piccoli puntini in lontananza) che lavorano, piantando riso o raccogliendo pomodori.. e passando per le stradine ritornando verso casa un senso di tranquillità mi aveva pervaso: clima mite, cielo sereno, sole che sale, uccellini che cantano...casette con a fianco la mangiatoia e spazio per mucche e maiali, galline e capre che gironzolano in giro. Piccole fattorie circondate da campi di mais, risaie e campi di pomodori. Lontano dal caos cittadino, dalla strada su cui ci sono mezzi di tutti i generi: dalle biciclette-taxi, ai matatos stracolmi, alle jeep che trasportano caschi di banane e papaya, avocados e canne da zucchero.


Tranquillità, tant’è che i ragazzi più giovani e gli uomini, come diversivo a questa vita per loro troppo tranquilla, si dilettano a tornare alle loro case ubriachi..mentre le donne sopportano, portano avanti la casa, lavano, cucinano, prendono l’acqua, danno il fieno alle mucche, mettono ad asciugare il mais..le donne. Che stanno sempre insieme, che camminano mezz’ore per spostarsi da un luogo ad un altro chiacchierando; che portano taniche d’acqua e passano a salutare i vicini; che ballano la musica che passa alla radio mentre stendono..le donne.
Donne che trasportano sacchi sulla testa, taniche d’acqua, bambini piccoli o ceppi di legna che useranno poi per cucinare. Donne di tutti i generi: nonne piegate dalle fatiche che con lentezza si dirigono verso la loro casetta, mamme che con fierezza portano il loro bimbo sulla schiena e donne debilitate e magrissime accanto a mamas in carne. Donne “di classe” ed eleganti anche se indossano abiti di casa e donne che hanno due straccetti addosso. Donne che lavorano...e uomini che stanno a guardare sul ciglio della strada; che barcollano perchè hanno bevuto; che si fermano in mezzo ai campi a pensare; che passano in bici e che fanno gli “autisti” di bike-taxi; che attaccano il carretto alla mucca; che raccolgono legna; che uccidono conigli e che trasportano capre e galline. Ragazzi che passano la loro gioventù a lavorare nei campi, tornare a casa in bici, fermarsi a chiacchierare e attendere il giorno dopo... bimbetti che giocano per strada, che portano a spasso la capretta come se fosse il loro cane, che camminano a piedi nudi, che trasportano il fratellino neonato sulla schiena, che girano per le stradine in terra battuta...


Alle 11 con Charity e Penina’s sister siamo partiti per andare a Embu, cittadella ad un’ora da Muthiti. Da lì altro camioncino per andare a Kahuraine per la commemorazione dei trent’anni dalla morte di un uomo (questo l’ho scoperto solo quando sono arrivata là): arrivati in questa grande casa (dopo aver aspettato su un camioncino che avrebbe dovuto portarci lì in un quarto d’ora, ma ci ha impiegato tre quarti d’ora..perchè si è rotto). Passato due ore di messa in dialetto kikuyo (incomprensibile per me), passato tempo in coda per il buffet, ascoltato da lontano the introduction (balli, canti e scherzi), alle 6,30pm siamo partiti dalla casa. Cambiado matatos con la bimbetta che piangeva perchè stanca, siamo arrivati all’ingresso di Muthiti dopo che sia all’andata che al ritorno la presenza di una mzungu faceva scalpore: i matatos volevano farla salire, i bike-taxi rischiavano di pedalare guardando all’indietro e cadendo solo per dire “Hello mzungu” ...il ragazzo che riscuoteva le tasse sul matatu (preso per caso lo stesso anche all’andata) ha voluto per forza farmi salire davnti, affinchè “la mzungu sia comoda” ..ed io che cercavo sempre più di non dare nell’occhio..invano. anche al buio non cambiava niente! Il bianco tradiva.


Domenica mattina sveglia più tardi rispetto a sabato, colazione ed inizio preparativi per andare a messa (che avrebbe dovuto iniziare alle 10): alle 10,30am le donne di casa Charity e casa Penina si dirigono verso la chiesetta, e per strada incontriamo il padre che doveva dire messa assieme ad un seminarista, i quali danno un passaggio a me ad a Jane. Da quando ho messo giù piede dalla macchina a quando è iniziata la messa (e forse anche durante) avevo gli occhi puntati addoso: la prima bianca in St.Mary, piccola chiesetta letteralmente solo con quattro mura, senza pavimento e con qualche fila di sedie in plastica..il resto vuoto, con un tetto in lamiera. Dopo l’applauso ai due ospiti (uno ero io e l’altro un sacerdote congolese) è iniziata la messa: bella con canti e bimbetti che ballavano accompagnati dal coro.


HARAMBEE... E dopo messa noto che iniziano spostamenti di galline, capre, caschi di banane, sacchi di riso e di mais, galli..e chiedo a Penina: è un’asta; dobbiamo contribuire per la costruzione della chiesa, Charity è una delle main guests e noi dobbiamo contribuire per aiutarla ad aumentare la somma che offre. Avrei voluto che finisse prima ancora di ominciare. ..poi ero bianca,ed era peggio ancora. Tutto ciò è durato più di 3 ore ; dopo aver pranzato in un ostello, attrversato il villaggetto e percorso mezz’oretta a piedi sotto il tiepido sole..gli occhi fissi quasi come aver visto la madonna. Ma ero una mzungu ...tra saluti, lavaggio dei piedi, foto, baci, attesa del matatu si sono fatte le 7pm. Ed io, Jane e Penina abbiamo ripreso la strada per il ritorno.

Monday, August 16, 2010

11 agosto 2010

E oggi pomeriggio (oggi tra l’altro è S.Chiara) di nuovo nel traffico delle 2.30pm e poi delle 5.. sempre eterno traffico a Nairobi..e colgo l’occasione per rubare squarci di vita, squarci di Africa.


Guardando fuori dal finestrino c’è un uomo seduto su un sasso sul ciglio della strada, con lo sguardo perso nel vuoto che rincorre chissà quali pensieri; un ragazzo di cui si vedono solo le gambe, perchè il resto del corpo è sotto la macchina, ovvero sdraiato per terra, sulla terra rossa, ad aggiustarla.. una bambina che lancia in aria un finto palloncino, sacchetto di plastica di quelli usati al supermercato per metterci frutta e verdura, trasparenti e sottili. Due sorelline che con lo zainetto in spalla e la divisa (camicetta e calzette bianche, gonna verde) si dirigono una di fianco all’altra verso la scuola... donna che si ferma per sistemare meglio sulla schiena il suo bambino;
papà che tenendo per mano il suo piccolino, si dirige verso il matatu.. matatos che pur di non perdere tempo e clienti (quindi soldi), scendono dalla strada, superano a sinistra (qui dovrebbero superare a destra dato che guidano al contrario..), si buttano sul percorso rossastro riservato a chi percorre la lunga strada a piedi anzichè in macchina (..non è un marciapiede asfaltato..);
donne e uomini che vendono vasi di argilla, coperte masaai, seduti sotto un albero a riposare chiudendo gli occhi.. uomo in giacca e camicia che cammina mangiando una pannocchia abrustolita; bambino che chiede l’elemosina in mezzo alla strada, accompagnando un anziano cieco.. agricoltore che sulla bici trasporta casse di pineapple e manioca, che poi magari andrà a vendere;
un altro che trasporta taniche vuote d’acqua, un altro ancora legna.. motociclista che ci passa di fianco con la radio ad altissimo volume per poterla sentire nel caos del traffico cittadino.. bambini di strada che alla rotonda, con in mano una tartaruga bella grande cercano di venderla.


..tutta questa verietà di gesti, persone, è accentuata ancora di più dal fatto che non indossano tutti giacca e cravatta, con valigetta in mano o tacchi a spillo..ci sono tantissime persone che fanno i lavori più diversi tra loro in giro su una stessa strada: dal venditore di vasi in Dagoretti road o Ngong road, all’agricoltore, all’watchman, all’impiegato...tutti, dal più povero al più ricco, sono in strada, in macchina, in bici o a piedi..

10 agosto 2010

Mattino accompagnato Fr.Seba ad Upper Hill, dove teneva un incontro per dei ragazzi sempre riguardante la comunicazione; alla sera è improvvisamente andata via l’elettricità: di routine in Africa!
 ..a volte però è anche positivo avere un contatto al buio con l’ambiente: sedersi e contemplare le stelle,tanti piccoli puntini luminosi in un cielo nero tanto grande, coperto in parte da un grande albero che ripara, ascoltare la natura che parla, sentire i gorgoglii ed ogni movimento è una cosa che non si apprezza più, purtroppo. Avere ormai l’elettricità 24h su 24 ha cancellato la possibilità di stare in silenzio fuori da casa: le strade asfaltate non ci fanno sentire a contatto con l’erba, i lampioni accesi tutta notte o la tv che manda programmi anche in tarda nottata hanno tolto quella “magia” e quella pace che poteva portare il dialogo con l’ambiente: sedersi sull’erba del parco, in un piccolo pezzettino di verde...in Africa invece ci sono ancora distese di campi da attraversare, di cui cerco di goderne il più possibile!



09 agosto 2010

MAKUYU...



Mal di testa mi ha fatto compagnia fino al suono della sveglia alle 5,30am per andare a Makuyu; anzichè partire alle 6, siamo però partiti alle 7,30 (...i tempi africani!). un’ora e mezza di strada, circondati dal paesaggio della savana, siamo arrivati in un altro centro salesiano; mentre Tony sistemava il magazine che ogni mese viene stampato, Fr.Sebastian mi ha fatto visitare dove la scuola tecnica e i vari capannoni dove i ragazzi lavorano il legno, sistemano le auto; saldano il ferro;
andati poi tra i campi delle suore: un sentierino con il terriccio rosso conduce ad un campo di alberi di banane..un marriage di rosso terra, marrone campo, giallo canne di bambù, verde dei banani, verde scuro degli alberi che si stagliano all’orizzonte, blu delle colline lontane e grigio del cielo...un insieme di colori da ammirare, unito al silenzio che circondava quel posto.

Durante quelle ore a Makuyu ci hanno accompagnato i canti, i battiti di mani, le preghiere dei bambini che proprio oggi hanno iniziato 3 settimane di “oratorio feriale” nostro.

Pomeriggio e sera tranquilli...con linea internet che non funziona! ...ça va!

08 agosto 2010

Ieri, sabato 7 AGOSTO abbiamo passato il giorno alla DBYES e alle 4, insieme a Don Sebastian, Father John e le sue sorelle polacche siamo stati invitati ad una braciolata a casa dell’ “ingegnere” che sta dirigendo i lavori di costruzione. Casa molto grande e spaziosa (per descrizione dettagliata, che qui tralascio, rivolgersi alla sottoscritta) abitata solo per qualche mese (vivono in Polonia) dall’ingegnere polacco, dalla moglie kenyana e da due mulattini meravigliosi di 6 e 8 anni che sanno polacco, inglese e kiswahili, lingue tra di loro diversissime: nulla è impossibile! A tavola si è parlato inglese,polacco,kiswahili e persino qualche frase in italiano: 4 lingue per 7 persone..



50 KISSES... Oggi messa animata dai ragazzi che stanno partecipando al “training the trainers” (come tutte le mattine da una settimana a questa parte): molto bella, allegra, con quei canti che in kiswahili hanno un’intonazione particolare,più squillante, più ritmata; accompagnati poi da tamburelli, bonghi, pianola e altri strumenti tradizionali creano un complesso fantastico. Il tutto sommato poi ai vestiti, sempre quei vestiti colorati che addosso a quasi tutte le ragaze e le donne nella chiesetta, ravvivavano la grigia giornata.. dopo colazione Father Sebastian mi ha invitato ad assistere ad una sua session durante quest’ultimo giorno di "training the trainers": tema era la comunicazionee la radio, quali sono i mezzi per comunicare, che messaggi passano giornali, tv, radio, cosa assimiliamo, quali feedback abbiamo... la comunicazione infatti è una cosa a cui non pensiamo spesso, anche se è parte di noi. Oltre a comunicare elefonando, mandando messaggi, inviando una mail, scrivendo una lettera, parlando,..abbiamo tantissimi alri modi per comunicare: se siamo arabbiati urliamo, se non siamo d’accordo stiamo in silenzio, se siamo interessati facciamo domande.. comunichiamo con tutto il nostro corpo: persino con occhi e bocca. Donando un sorriso si comunica. Solo uno sguardo può avere mille significati diversi. È stato un argomento interessante nell’analizzare poi l’intestazione del “Daily Nation”, giornale nazionale kenyano, cosa riportava dopo la vittoria del si nel referendum: “the new face of Kenya”, con la foto di una famiglia (3 persone...da quando una famiglia africana ha solo un figlio?!) felice, sorridente, ricca... è questa la “nuova faccia del Kenya” dopo l’approvazione della nova costituzione?! No..la nuova situazione non ha cambiato e non cambierà la vita delle persone negli slum di Kibera, Mathare, Korogocho, Dagoretti.


Quel sì a favore dell’aborto, della privatizzazione delle terre e della concessione di giardini ai musulmani non migliorerà la vita di chi vive nei villaggi, di chi vende oggetti per strada o di chi dorme sotto gli alberi. Non migliorerà nemmeno la vita di chi è più fortunato ed ha un suo campo da coltivare.. e tutta questa falsa informazione ce la trasmettono i media.


Dopo questa interessante lezione e pranzo, siamo partiti per incontrare dei giovani ex ragazzi cresciuti con Fr.Sebastian. Dalle 4pm alle 9.30pm abbiamo avuto occasione di partecipare alla vita di una cittadella vicino a Nairobi una domenica pomeriggio: bar tranquillo, divanetti, tavolini e televisioni in giro per il locale..gente seduta e rilassata. Man mano che passava il tempo, mentre ordinavamo un piatto di sausages, ragazzi e uomini arrivavano per assistere alla partita in diretta su sky di CHELSEA-MANCHESTER. Per 2 ore c’era una grande folla che ha guardato la partita, ansiosa e rilassata insieme. Serata è poi proseguita in chiacchiere..con notte insonne.






06 agosto 2010

Dalle 9 di mattina alle 3 di pomeriggio ancora a Nairobi per una riunione di Don Sebastian nella sede cattolica del Kenya su “comunicazione e media: strategie per trasmettere il vangelo”, girato per la Westland, parte ovest di Nairobi e visitato il centro commerciale. E di nuovo mi sono sentita in un altro mondo: uomini e donne, ragazzi e ragazze che entravano, compravano, pranzavano lì, andavano al cinema... tutte quelle persone sono le poche che hanno soldi e possono “permettersi” di pranzare fuori o fare shopping.


Dopo aver passato più di un’ora e mezza in coda prima di arrivare a Karen e poi al Don Bosco, proprio quando avevo deciso di fare un piccolo riposino pomeridiano, bussa alla porta Charity: la cuoca vuole che io cucini la PASTA... dunque sera cena con piatti italiano, polacco (una specie di zuppa) e africano.. ebbene, multietnici pure nei cibi! Tagliato cipolla, carote e zucchine, fatto il soffritto e aggiunto una miscela simile alla passata i pomodoro, secondo me l’estratto, perchè talmente densa che abbiamo dovuto aggiungerci l’acqua. Messo a cuocere gli spaghetti ed ecco pronta la pasta! È stato poi il turno dela zuppa polacca, del pollo e dell’ugali, piatto tipico del Kenya. Tutto questo preparato per ben 50 persone!

05 agosto 2010

Stamattina di nuovo con Don Sebastian nel traffico cittadino per andare in un negozio di tecnologia per riparare uno computer che servono al tecnico del suono per produrre e sistemare canzoni dmesse poi su cd e distribuite ai vari gruppi che le utilizeranno per ritiri, giornate spirituali o incontri...


per strada, tra artigiani alle prese con ferro e legno, chi vicino al fuoco per cuocere pannocchie, chi a vendere teli, si scorgevano donne e ragazze con due o tre taniche d’acqua vuote che si dirigevano tutte alla “fonte”, una grande cisterna contenente decine di liti d’acqua. E tra il via vai di gente, tre donne attingevano l’acqua da un piccolo canale invece di andare con il loro secchio a prenderla alla cisterna. Lì, da quel canaletto, probabilmente accumulo di rifiuti e acqua usata per lavare camioncini o statuette di ferro...quell’acqua marrone travasata poi con l’innaffiatoio in una bacinella più grande. Quell’acqua sporca, portatrice di tante malattie. Altro che i nostri depuratori, alla faccia dei più salutisti che comprano acqua uliveto e rocchetta ricche di calcio o di quali altri sali. Quelle donne (che magari abitavano lì in una stradina di uno slum..uno dei tanti) avranno utilizato quell’acqua per lavare i vestiti, o magari anche per cucinare...


Casualmente siamo passati davanti a queste donne in una frazione di secondo proprio quando travasavano l’acqua..una stretta al cuore accompagnata da un “no,no...quell’acqua no...” . invano. Certamente loro non avrebbero sentito, e il mio sarebbe rimasto solo un monito nel vuoto. Quante malettie si potrebbero evitare. Quante morti anche. In un secondo una scena come questa..chissà quante altre saranno successe e si ripeteranno.


In frazioni di secondo, solo passando in macchina, si possono osservare istanti di vita delle persone, cogliere gesti ed espressioni..

Al pomeriggio Charity, una delle ragazze che lavora alla DBYES, mi ha proposto di andare con lei dalla parrucchiera. Alle 4,30pm abbiamo atteso che passasse un matato (sempre il solito pullmino scassato che trasporta 15 persone invece di dieci) che ci portasse fino a Karen. Dopo aver percorso un centinaio di metritra il via vai di gente, di taxi, di taxi improvvisati e di bancarelle, ci addentriamo in una viettina che porta ad un piazzale da cui iniziano casupole in legno, attaccate le une alle altre, una di fronte all’altra, lungo file continue: in ciascuna baracchina si trova il venditore di frutta, il sarto, il parrucchiere per uomini e per le donne,l’elettricista. Un piccolo borghettino dove si può trovare di tutto: verdura, vestiti, creme, orecchine, collane... seguendo Charity, entriamo in una di quelle, spostando una tenda.
Qui ci accolgono Sarah e Cecily, le parrucchiere. E per 2 ore le osservo mentre sciolgono le treccine e buttano a terra i capelli artificiali che mano a mano si staccano (ecco i trucchi delle ragazze africane per avere sempre i capelli semi-perfetti!); le guardo come lavano quei numerosissimi ricci, come li pettinano, li ungono, li asciugano, li tirano lisciandoli quasi che sembra si stacchino dalla testa! Dopo due ore riprendiamo il matato verso casa... e non ha rifatto le treccine, altrimenti le ore anzichè due sarebbero state minimo sei...e con quanta pazienza!

In strada, alle 6,45pm inizia a scendere il buio e non è molto bello stare in giro..qui ora è inverno.

Saturday, August 14, 2010

04 agosto 2010 RESURRECTION GARDEN...

RESURRECTION GARDEN... E oggi, mentre in Kenya si vota per il referendum pro o contro l’aborto, la privatizzazione della terra, la concessione di cortili privati ai msulmani, con Don Sebastian, Father John e le sue sorelle siamo andati a visitare questo giardino costruito da padri italiani, luogo di preghiera per molti fedeli. Lungo un percorso ci sono delle grandi pietre sulle quali appaiono mosaici raffiguranti ciascuno una tappa importante dell’antico e del nuovo testamento, seguite poi da pietre sulle quali è rapresentata la via crucis. Coronano il percorso tre croci in legno affiancate da una cappella nella quale c’è una tomba vuota, piccola piccola, con un’insegna:       
                         una  tomba  troppo piccola per contenere il mio amore: risorgerò”   
Nel giardino anche una grandissima chiesa moderna nella quale Giovanni Paolo II vi celebrò la messa nel 1995.
È stata una bella occasione per poter meditare e pregare per le persone che conosco e a cui voglio bene, affidate a Gesù perchè nel loro futuro ci sia all the best: tutto il meglio che possano vivere e avere, il meglio che possano desiderare..il meglio nell’amare.
Quel luogo è proprio un piccolo paradiso: non per niente all’entrata, in kiswahili è scritto “le porte del cielo”....isolato dalle lunghe strade dove passano moto, bici con galline, bici cariche di fieno, macchine-rottami, macchine costosissime, jeep, bus, matatos, persone che camminano sulla terra rossastra che affianca la strada asfaltata. Qualche volta si incontra addirittura un carretto trainato da un asinello o perfino da un uomo.                                                                                                           Isolato dalle distese di campi. E nel prato interno le persone trovano il loro spazio personale, chi sdraiato sul tipico telo, chi cammina a piedi nudi intorno agli alberi, a contatto con l’erba, chi prega ad alta voce elevando le mani al cielo.. dove ognuno, a modo suo, è da solo con Dio..
Imparando nel frattempo qualche parola in Kiswahili, una delle quattro lingue ufficiali del Kenya.  

03 Agosto 2010 UPPER HILL CHURCH...

UPPER HILL CHURCH... Oggi altro giorno nella confusionaria Nairobi, causa cmmissioni di Don Sebastian. Cogliamo quindi l’occasione per visitare la chiesa salesiana principale. Grande chiesa con vetri colorati le cui luci si riflettono sull’altare.
Il pomeriggio è stato un immergersi nella vita occidentale.. un’altra faccia d’africa: da un lato della grande strada a quattro carreggiate si notano  bancarelle di vestiti, venditori che passando tra le macchine ferme in coda causa perenne traffico cittadino tentano di vendere sacchetti di mele o arance, penne, cd o libri a chi è con il finestrino abbassato, assorto nei suoi pensieri; proprio di fronte un campo di un verde luminosissimo... mentre avicinandomi mi chiedo se possa essere un campo coltivato nel quale sono stati piantati piccoli germogli, scorgo uomini che colpiscono una pallina: un campo a golf…Un campo da golf nel via vai cittadino, a fianco di strade con più carreggiate, guardato da lavoratori che vi passano di fianco per andare a casa, desiderato da chi tenta di vendere ruote delle auto o frutta per guadagnare qualc scellino giornaliero.
L’Africa..il paese degli opposti: centri commerciali accanto a bancarelle itineranti, campi da golf accanto a persone che dormono sotto gli alberi, ricche macchine in fila con matatos e pullmini che è un miracolo se non si spengono per strada talmente sono vecchi…Donne in tailleur con “fare occidentale”  attraversano la strada accanto a donne che indossano i coloratissimi vestiti tipici, portando sulla testa grandi ceste. Uomini con cravatta e occhiali da sole e cuffiette nelle orecchie accanto a uomini mingherlini che indossano qualche indumento rossiccio, tipico colore della terra...questi i grandi mix.

02 agosto 2010 TECHNICAL SCHOOL... UTUME SEMINARY...


Dopo che la signora con la quale sono andata a Kibera e alla scuola in Dagoretti è andata in un’altra regione del Kenya, i giorni sono stati più tranquilli: tra una commissione ed un’altra, tra andare in banca, cambiare i soldi, andare a comprare la cartoleria, attraversare in macchina Nairobi centro, imbottigliati nel traffico per consegnare una busta o un documento, Don Sebastian mi ha portato nelle varie case che hanno costruito.

TECHNICAL SCHOOL... è un grande spazio nel quale ci sono molti capannoni, ciascuno dei quali è adibito ad una particolare funzione e dove i ragazzi lavorano: edificio di falegnameria, laboratorio elettrico, artistico, meccanico. Qui i ragazzi mettono in pratica quello che hanno imparato nelle lezioni frontali (scuola superiore): costruiscono mobili, riparano macchine, sistemano e cuciono  divani, lavorano per sistemare le radio.. la mattina della visita i ragazzi erano pochi, essendo anche qui periodo di vacanza.

UTUME SEMINARY... Il seminario. Anche questo disabitato causa vacanze. È uno spazio molto grande, quasi un’oasi rispetto all’ambiente in cui si trova...

Thursday, August 12, 2010

01 agosto - KUIMBA MASS...

Ed è Africa anche la messa.. pure in uno slum (Kuimba slum), in una messa celebrata tutta in Kiswahili (seconda lingua più parlata in Kenya), perfino in una giornata fredda e uggiosa come sono i nostri giorni autunnali la messa è fatta di balli e canti. Balli in processione, balli prima del vangelo, balli all’offertorio, balli alla consacrazione. Bimbe in processione che precedono Don Sebastian. 


Ragazzi che suonano i tamburelli e tutta l’assemblea che canta e inneggia. Canta e batte le mani. Canta e e si muove. Messe totalmente differenti da quelle europee che sono freddine ed impostate..ma è anche questa cultura. Si avvicinano a quelle africane le messe del PIME, per la loro apertura verso la missione. Hanno visto, hanno apprezato, perciò tramandano.
Pomeriggio da una famiglia indiana molto aperta e accogliente!

31 luglio

     Stamattina messa nella chiesetta del DBYES h.7,30. Giornata tranquilla andando a Karen-centro città e visitando amici di Don Sebastian. Fuori a cena con Father Macarius e sua cugina; di origini egiziane ma che hanno vissuto in Kenya. Divenuti fondatori di un’associazione che ha operato dapprima in Brasile, poi stabilmente in Kenya e che sostiene diversi progetti di studio rivolti ai ragazzi. Hanno gettato lo sguardo su infedeltà, culure, tradizioni, modi di vita complicati, a volte incomprensibili. Ma apertura di cuore, sguardo che penetra, accoglienza e calore...
      Questa è l’Africa: miscuglio tra tradizioni e modernità, confusione e libertà eccessiva insieme a rigidità verso alcuni comportamenti; sofferenza insieme a visi sorridenti, povertà insieme ad occhi che parlano da soli... accoglienza insieme ad una forma di  indifferenza: appena però mostri un segno di saluto, un cenno con la mano, con la testa, un sorriso.....ecco che subito vieni ricambiata. Lo sguardo cambia. Mamme o nonne che sembrano fissarti, cambiano espressione e subito ti donano un sorriso. Uomini sui cui volti ci sono i segni della fatica, ecco che notano il tuo abbassare lo sguardo in segno di saluto e fanno altrettanto. Ragazzi che sembrano squadrarti quando passi, se fai loro un sorriso ecco i loro volti iluminarsi.
       This is Africa: fatica e sorriso, lavoro e saluto, apertura e accoglienza! 

30 luglio DAGORETTI SCHOOL

        Un altro pezzo di Kenya, di Africa.. un’altra scuola in uno slum, ma diverso da Kibera: più all’aria aperta, non soffocato in vie strettissime, meno fango, più verde, più sole.
      Anche la scuola è certamente migliore rispetto a Bakita School : scuola primaria con bambini dai 2 ai 15 anni, con 8 classi più l’asilo. Sorridenti, accoglienti, con due occhioni dai quali si vede un mondo, il loro mondo interiore. Dopo aver fatto gli esami per passare all’anno successivo, i più grandi si dilettano a giocare a calcio,  mentre i più piccoli si dilettano a giocare con la ruota dell’auto o a progettare con mattonelle e sassi una scuola più grande e più bella.
        Insegnanti talmente giovani da scambiarli per studenti, con un “lavoro” precario per il quale a volte non vengono neppure pagati. Può capitare così che chi non sostiene questa situazione se ne vada, lasciando la sua classe in balìa dell’avvenire.
      Come se ciò fosse strano, anche oggi mi sono emozionata...forse più di ieri. La goccia che ha fatto traboccare le lacrime interiori è stato il raduno dei bimbi dopo pranzo per mostrare le loro scenette e le poesie: si impegnavano, si emozionavano, abbassavano lo sguardo sbirciando coi meravigliosi occhietti a mandorla. E poi è venuto il mio turno di presentarmi: I’m Claire, Chiara in italian. I come from Italy and I stay here for 40 days. I’m very happy to visit you; it’s my first time in Kenya, my first time in Africa, my first time out of Europe, and I’m happy to see how you study!