Friday, August 27, 2010

16 agosto 2010

Giovedì 12 al Jiraffe Park con Fr.Sebastian..non esperienza travolgente perchè tutto montato per i turisti, ma divertente vedere delle giraffe dal vivo!


Stamattina di ritorno da 3 giorni in un villaggio...mi sembra così strano aver vissuto un’esperienza del genere!


MUTITHI VILLAGE... partita con Charity e Vivian venerdì verso le 11; arrivati a Karen con il taxi, preso il City Hoppa (pullman) fino a Nairobi centro, luogo confusionario, incasinato: gente che va, che torna, che fuma, che aspetta il bus, il taxi o un amico; ragazzi che con un carrello aspettano che qualcuno li chiami per aiutare a trasportare valigia, scatole pesanti o le mille borse che si portano dietro le persone. Mentre Charity è entrata in un supermercato per prendere “qualcosa” da portare a casa (“qualcosa” erano due borse pesantissime insieme ad uno scatolone..tutto questo trasportato mentre andavamo alla ricerca di un matatu, insieme ai nostri bagagli), sono rimasta fuori ad aspettare con Vivian. Era strano come la gente lanciava sguardi a quella strana coppia: una bambina nera in braccio ad una bianca che nell’attesa canticchiavano “Jambo Kenya”.. arrivata la mamma abbiamo preso il matatu, direzione Embu: il lungo viaggio ha avuto inizio... sballottati per un’ora e mezza prima nel traffico cittadino che l’autista cercava di evitare in tutti i modi: supera a destra, a sinistra, scendendo dalla strada e proseguendo sulla terra battuta, risalendo, cercando di superare più maccine possibili, finalmente “entriamo”in autostrada (non ci sono caselli o pedaggi, per fortuna!) dove per tutto il tragitto siamo stati accompagnati da dossi presi con la rincorsa, buche a più di 100 km/h sul “matatu rottame” che infatti ha bucato. Era una scena molto buffa: in mezzo ad alberi, terra rossa e cactus, 15 persone attendevano sul ciglio della strada che l’autista e il suo aiutante (ovvero colui che riscuote i pagamenti: perchè non ci sono da comprare biglietti per viaggiare sul matatu, ma solo da pagare scellini). Dopo un’attesa di minimo un quarto d’ora, frastornati dal pessimo viaggio, riprendiamo la nostra strada...per “completare l’opera” la bambina vomita addosso a Charity, quindi passiamo parte del secondo pezzo di strada a tentare di pulire il più possibile..situazione poco piacevole.


Finalmente arriviamo alla cittadella di Mwea. Scendendo dal matatu ci accolgono tre bimbetti, una ragazzina di 15 anni e una mamma con un bimbetto sulla schiena (scopro poi che la ragazza è la cugina di Charity e quella mamma è sua sorella) che ci aiutano a portare le 5 borse che abbiamo portato con noi. Attraversando due stradine in terra rossa (il mio istinto mi aveva permesso di prevedere che sarebbe stato meglio partire con le infradito...ed è stata la cosa migliore) giungiamo alla loro casetta.


Lo stato d’animo in quel momento e durante la sera era di disorientamento più totale...mi sembrava di essere arrivata in un posto se non fuori dal mondo, quasi. La casetta con la cucina in una costruzione a parte, il bagno fuori anche lui, in giro a piedi nudi, dentro e fuori casa.. tranquillità era l’aggettivo più adatto, insieme ad alienazione. Le persone stavano sedute su panchine, osservavano altri che lavoravano, ridevano, parlavano, portavano sacchi, guidavano carrettini, trasportavano canne di bambù... e dopo aver appoggiato la borsetta, mangiato, dopo che mi sono presentata come se avessi dimenticato tutto l’inglese (sentendo parlare Kikuyo –il dialetto del posto, diverso dal Kiswuahili- mischiavo tutto e non capivo quando mi parlavano in inglese e quando parlavano tra di loro in dialetto, sembrava un tutt’uno incomprensibile), sono stata portata a fare un giretto nella piccola town...quel pomeriggio (come per i due giorni successivi) sono stata l’eccezione più assoluta, la novità, l’abbaglio, la prima mzungu -bianca- ad andare in quel villaggio. Le persone stavano ad osservarmi senza credere ai loro occhi, oppure pensando di aver preso un abbaglio vedendo una bianca che cammina tra i banchetti di frutta e verdura, che attraversa i fossati, che ha i piedi marroni per aver camminato sulla terra.. bambini che si fermano a guardare con due occhioni senza “credere ai loro occhi”. Non aspettando altro che ricevere una stretta di mano da questo strano extraterrestre bianco.. ragazzi (probabilmente che si sono divertiti a passare il tempo fumando) che ripetono: “mzungu, how are you?”, “welcome, karibu mzungu”...mzungu. è forse la parola che ho sentito più spesso, consapevole che si riferivano a me. Consapevole di essere l’eccezione.


E quel pomeriggio, passando tra le bancarelle, tra sguardi stupiti, sconcertati, felici, interrogativi, in compagnia dell’unico desiderio di poter diventare ad un tratto trasparente per poter non essere notata...


La sera passata a cenare a lume di candela in compagnia di Charity, di Mama Charity, Iline e i vari nipotini, ricevendo la visita del fratello di Charity (padre di tre bambini) che aveva bevuto forse un pò troppo..e sono stata male, vomitando quella che avrebbe dovuto essere la mia cena, a causa degli effetti post-viaggio su matatu. Condividendo il letto con Charity, la mia sensazione è stata quella di non riuscire a capire quale fosse il mio stato d’animo in quel momento, e l’unica risposta a questo mio interrogativo è stata quella di attendere e ambientarmi.


Il mattino di sabato infatti è stato decisamente migliore. Sveglia alle 6 di mattino, mi sono messa a lavare fuori in cortile le grandi pentole e i piatti usati la sera prima, con appena una spugnetta consumata e un pezzettino di sapone di marsiglia. Dopo aver aiutato a stendere il bucato “pulito” (che di pulito aveva poco..)e preso una tazza di thè kenyano con latte, insieme ai bimbi sono andata a salutare la mamma di Penina, nonchè sorella di Mama Charity, ed una positivissima sensazione di pace e tranquillità mi ha invaso: era semplice ma tutto ordinatissimo, sentierino spazzato senza nessuna foglia, pianticelle delimitavano la stradina, una casetta per la cucina e di fronte una saletta con stanze. Tutto rispecchiava chi la abitava: Mama Penina è bella, orgogliosa e fiera di sè (ma non troppo..quanto basta per essere amabili) anche quando piegata a portare sulla schiena la tanica d’acqua o quando tiene in braccio il nipotino. Bravissima a nascondere le sue preoccupazioni, celate dall’indelebile sorriso. Semplicemente fiera anche quando piegata in cucina. E le figlie sono il suo ritratto. Bellissime, tranquille e sorridenti.


Pacatamente mi mostrano i campi dietro il recinto di casa: campi di pomodori davanti e distese di campi di riso. E tra un campo ed un altro, tra un rettangolo di verde brillante quali sono le pianticelle di riso e uno di terra marrone, tante persone (piccoli puntini in lontananza) che lavorano, piantando riso o raccogliendo pomodori.. e passando per le stradine ritornando verso casa un senso di tranquillità mi aveva pervaso: clima mite, cielo sereno, sole che sale, uccellini che cantano...casette con a fianco la mangiatoia e spazio per mucche e maiali, galline e capre che gironzolano in giro. Piccole fattorie circondate da campi di mais, risaie e campi di pomodori. Lontano dal caos cittadino, dalla strada su cui ci sono mezzi di tutti i generi: dalle biciclette-taxi, ai matatos stracolmi, alle jeep che trasportano caschi di banane e papaya, avocados e canne da zucchero.


Tranquillità, tant’è che i ragazzi più giovani e gli uomini, come diversivo a questa vita per loro troppo tranquilla, si dilettano a tornare alle loro case ubriachi..mentre le donne sopportano, portano avanti la casa, lavano, cucinano, prendono l’acqua, danno il fieno alle mucche, mettono ad asciugare il mais..le donne. Che stanno sempre insieme, che camminano mezz’ore per spostarsi da un luogo ad un altro chiacchierando; che portano taniche d’acqua e passano a salutare i vicini; che ballano la musica che passa alla radio mentre stendono..le donne.
Donne che trasportano sacchi sulla testa, taniche d’acqua, bambini piccoli o ceppi di legna che useranno poi per cucinare. Donne di tutti i generi: nonne piegate dalle fatiche che con lentezza si dirigono verso la loro casetta, mamme che con fierezza portano il loro bimbo sulla schiena e donne debilitate e magrissime accanto a mamas in carne. Donne “di classe” ed eleganti anche se indossano abiti di casa e donne che hanno due straccetti addosso. Donne che lavorano...e uomini che stanno a guardare sul ciglio della strada; che barcollano perchè hanno bevuto; che si fermano in mezzo ai campi a pensare; che passano in bici e che fanno gli “autisti” di bike-taxi; che attaccano il carretto alla mucca; che raccolgono legna; che uccidono conigli e che trasportano capre e galline. Ragazzi che passano la loro gioventù a lavorare nei campi, tornare a casa in bici, fermarsi a chiacchierare e attendere il giorno dopo... bimbetti che giocano per strada, che portano a spasso la capretta come se fosse il loro cane, che camminano a piedi nudi, che trasportano il fratellino neonato sulla schiena, che girano per le stradine in terra battuta...


Alle 11 con Charity e Penina’s sister siamo partiti per andare a Embu, cittadella ad un’ora da Muthiti. Da lì altro camioncino per andare a Kahuraine per la commemorazione dei trent’anni dalla morte di un uomo (questo l’ho scoperto solo quando sono arrivata là): arrivati in questa grande casa (dopo aver aspettato su un camioncino che avrebbe dovuto portarci lì in un quarto d’ora, ma ci ha impiegato tre quarti d’ora..perchè si è rotto). Passato due ore di messa in dialetto kikuyo (incomprensibile per me), passato tempo in coda per il buffet, ascoltato da lontano the introduction (balli, canti e scherzi), alle 6,30pm siamo partiti dalla casa. Cambiado matatos con la bimbetta che piangeva perchè stanca, siamo arrivati all’ingresso di Muthiti dopo che sia all’andata che al ritorno la presenza di una mzungu faceva scalpore: i matatos volevano farla salire, i bike-taxi rischiavano di pedalare guardando all’indietro e cadendo solo per dire “Hello mzungu” ...il ragazzo che riscuoteva le tasse sul matatu (preso per caso lo stesso anche all’andata) ha voluto per forza farmi salire davnti, affinchè “la mzungu sia comoda” ..ed io che cercavo sempre più di non dare nell’occhio..invano. anche al buio non cambiava niente! Il bianco tradiva.


Domenica mattina sveglia più tardi rispetto a sabato, colazione ed inizio preparativi per andare a messa (che avrebbe dovuto iniziare alle 10): alle 10,30am le donne di casa Charity e casa Penina si dirigono verso la chiesetta, e per strada incontriamo il padre che doveva dire messa assieme ad un seminarista, i quali danno un passaggio a me ad a Jane. Da quando ho messo giù piede dalla macchina a quando è iniziata la messa (e forse anche durante) avevo gli occhi puntati addoso: la prima bianca in St.Mary, piccola chiesetta letteralmente solo con quattro mura, senza pavimento e con qualche fila di sedie in plastica..il resto vuoto, con un tetto in lamiera. Dopo l’applauso ai due ospiti (uno ero io e l’altro un sacerdote congolese) è iniziata la messa: bella con canti e bimbetti che ballavano accompagnati dal coro.


HARAMBEE... E dopo messa noto che iniziano spostamenti di galline, capre, caschi di banane, sacchi di riso e di mais, galli..e chiedo a Penina: è un’asta; dobbiamo contribuire per la costruzione della chiesa, Charity è una delle main guests e noi dobbiamo contribuire per aiutarla ad aumentare la somma che offre. Avrei voluto che finisse prima ancora di ominciare. ..poi ero bianca,ed era peggio ancora. Tutto ciò è durato più di 3 ore ; dopo aver pranzato in un ostello, attrversato il villaggetto e percorso mezz’oretta a piedi sotto il tiepido sole..gli occhi fissi quasi come aver visto la madonna. Ma ero una mzungu ...tra saluti, lavaggio dei piedi, foto, baci, attesa del matatu si sono fatte le 7pm. Ed io, Jane e Penina abbiamo ripreso la strada per il ritorno.

2 comments:

  1. ciao chiara! ieri elena mi ha dato l'indirizzo del tuo blog, oggi mi leggo tutti i tuoi diari. A presto e buona continuazione!!!! Ambrogio

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  2. ecco, ho letto tutto! bellissima esperienza, scrivi ancora ti raccomando, anche se penso che le parole non possano esprimere che un centesimo di quello che stai vivendo. a presto!! Ambrogio

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